Carissimi,
Sento il bisogno di condividere alcune mie riflessioni nate nella mente e nel mio cuore in questi giorni di “forzata clausura”. Sono riflessioni sollecitate anche da colloqui avuti con amici, preti e non, uomini e donne, e da alcuni interventi del mio Vescovo, su questo tempo che siamo chiamati a vivere e con il quale confrontarci.
La prima riflessione riguarda la scoperta del proprio limite. Dicevo ad un mio amico, che mai come in questi giorni, ho avvertito la vicinanza del limite supremo della nostra vita che è la morte mia e dei mie cari. Ciò di cui spesso si parla ma che pensiamo non debba mai toccare noi, si è fatto con forza e prepotenza vicino! E davanti a questo è sorta in me preoccupazione, paura, sgomento. Allora che consolazione leggere il Vangelo di Giovanni al capitolo 11 dove ci è detto che Gesù si rivela come “la risurrezione e la vita”! Che consolazione sapere che Lui stesso freme e si turba davanti alla morte dell’Amico Lazzaro e “lacrima”, “piange” insieme a Marta e Maria, rivelandoci il Volto di un Dio che non è indifferente alle nostre sofferenze e alle nostre lacrime. Mi viene a mente il salmo 56 dove si proclama : “I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?”
Che consolazione poter pregare con il mio omonimo collaboratore ogni giorno la semplice preghiera del rosario e ripetere a Maria le dolci parole che la tradizione della chiesa ci ha consegnato : “prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte”.
La seconda riflessione riguarda che questo tempo possa essere, pur nella drammaticità, un tempo opportuno per cogliere che siamo chiamati a vivere un’autentica “conversione” (= cambiamento di mentalità) . In questo mi ha aiutato molto anche la lettera che il mio Vescovo Giuseppe ha inviato ai suoi preti il 24 Marzo. Nella lettera invitava noi preti “ad inventarci in forme nuove, a vivere una responsabilità pastorale meno legata alle forme abituali e più calata nella realtà presente”. Non è forse un appello forte, un “segno dei tempi” che con urgenza il Signore ci invita ad accogliere per decidersi con gioiosa speranza a superare quella mentalità così spesso radicata nelle nostre comunità cristiane e che anche Papa Francesco ci invitava in Evangelii Gaudium a superare? La mentalità del “si è sempre fatto così”! Penso che non solo noi preti, che siamo pur parte del popolo santo di Dio, ma tutta la Chiesa sia interpellata a un cambiamento nei modi di vivere e rapportarsi con il “mondo” , nel suo strutturarsi (salvaguardando l’essenziale : la Grazia, la Parola, i Sacramenti ), nello spogliarci di tante realtà che ci appesantiscono e ci impediscono di vivere l’essenziale e di essere trasparenza del Dio che si è inabissato nella nostra “carne”. Siamo davvero vivendo, e questa emergenza lo ricorda con forza, un “Cambiamento d’Epoca”! E non possiamo compiere dei restauri di facciata! Mi sono tornate alla mente a tal proposito alcune parole di Papa Benedetto che sono andato a ricercare e che mi piace condividere:
“…Come deve configurarsi concretamente questo cambiamento? Si tratta forse di un rinnovamento come lo realizza ad esempio un proprietario di casa attraverso una ristrutturazione o la tinteggiatura del suo stabile? Oppure si tratta qui di una correzione, per riprendere la rotta e percorrere in modo più spedito e diretto un cammino? Certamente, questi ed altri aspetti hanno importanza, e qui non possiamo affrontarli tutti. Ma per quanto riguarda il motivo fondamentale del cambiamento: esso è la missione apostolica dei discepoli e della Chiesa stessa. Infatti, la Chiesa deve sempre di nuovo verificare la sua fedeltà a questa missione. I tre Vangeli sinottici mettono in luce diversi aspetti del mandato di tale missione: la missione si basa anzitutto sull'esperienza personale: “Voi siete testimoni” (Lc 24,48); si esprime in relazioni: “Fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19); trasmette un messaggio universale: “Proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). A causa delle pretese e dei condizionamenti del mondo, però, questa testimonianza viene ripetutamente offuscata, vengono alienate le relazioni e viene relativizzato il messaggio. Se poi la Chiesa, come dice Papa Paolo VI, “cerca di modellare se stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall'ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina” (Lettera enciclica Ecclesiam suam, 60). Per compiere la sua missione, essa dovrà anche continuamente prendere le distanze dal suo ambiente, dovrà, per così dire, essere distaccata dal mondo… La Chiesa deve se stessa totalmente a questo scambio disuguale. Non possiede niente da sé stessa di fronte a Colui che l’ha fondata, in modo da poter dire: l’abbiamo fatto molto bene! Il suo senso consiste nell'essere strumento della redenzione, nel lasciarsi pervadere dalla parola di Dio e nell'introdurre il mondo nell'unione d'amore con Dio. La Chiesa s’immerge nell'attenzione condiscendente del Redentore verso gli uomini. Quando è davvero se stessa, essa è sempre in movimento, deve continuamente mettersi al servizio della missione, che ha ricevuto dal Signore. E per questo deve sempre di nuovo aprirsi alle preoccupazioni del mondo, del quale, appunto, essa stessa fa parte, dedicarsi senza riserve tali preoccupazioni, per continuare e rendere presente lo scambio sacro che ha preso inizio con l’Incarnazione…” (Incontro con cattolici impegnati nella chiesa e nella società discorso del santo padre Benedetto XVI Konzerthaus di Freiburg im Breisgau Domenica, 25 settembre 2011)
Mi domando allora; cogliamo la forza di questo tempo per dedicarci un po’ di più alla preghiera? All'ascolto della Parola di Dio, alla vicinanza semplice con una telefonata ai nostri amici, ai fratelli e sorelle più soli e anziani? O, lo dico innanzitutto per me, corriamo il rischio di farci travolgere ancora una volta dal “virus” dell’ Attivismo pastorale usando un po’ a sproposito social e mezzi informatici ? (Facebook, Skype, Zoom…ecc?). Non dovremmo forse accogliere il limite di non poter raggiungere tutti e di non voler “occupare spazi ma iniziare dei processi?”
La terza riflessione la traggo dall’Omelia del Vescovo del 25 Marzo alla SS. Annunziata. davvero stiamo vivendo un tempo che ci invita a pensare al domani con criteri e categorie diverse dal quelle usate fino ad oggi. Ha detto il Vescovo: “E la prospettiva di un domani che deve essere diverso dal passato oggi si impone con forza. Niente potrà e dovrà tornare come prima. E non lo potrà essere perché saranno profondi i segni che la pandemia lascerà nell'economia, nella vita sociale, nella politica, nei rapporti tra i popoli, nei comportamenti individuali. Ma è bene fin d’ora chiederci verso quale direzione orientare il cambiamento: Rafforzare le chiusure e garantirci contro gli altri? Rinsaldare le sicurezze di pochi lasciando al loro destino i deboli? Cancellare l’esperienza del limite, che ci ha assalito in questi giorni, per tornare ai sogni prometeici di un’umanità che non risponde a nessun valore perché ubriacata dalla propria volontà di potenza? Ci piace pensare che si possa superare un modello di vita incentrato sull'individualismo, sullo sfruttamento indiscriminato del pianeta, sulle sole logiche del profitto e del consumo, per mettere al centro ciò che è davvero essenziale e proiettarci verso gli orizzonti della solidarietà, della responsabilità, del dono [...]” Penso che le domande che si pone e ci pone l’Arcivescovo debbano davvero interpellarci e aiutarci nel cammino ci Chiesa a compiere sempre più scelte coraggiose verso orizzonti di Solidarietà, responsabilità, dono. Mi auguro che questo possa avvenire nella Parresia e nella Comunione, dando un nuovo entusiasmo anche al Cammino sinodale su Evangeli Gaudium che come diocesi abbiamo iniziato ma sembrava un po’ stanco. Si Nuovi stili di vita da assumere come Chiesa e come società civile. Insomma mi auguro che con la forza dello Spirito del Risorto possiamo vivere anche questo tempo di prova, come un tempo favorevole e di grazia.
Con affetto,
Don Giovanni
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